Insospettabili politici di destra hanno lanciato l'idea dell'introduzione dell'ora di religione musulmana all'interno delle scuole pubbliche, facendo sorgere un dibattito fondato sul nulla, tanti e complessi sono i passaggi necessari per giungere ad una situazione come quella di cui gode attualmente l'ora di religione cattolica.
Ma se tanti e complessi sono tali passaggi (necessità di un'intesa con la confessione islamica, definizione dei contenuti didattici, individuazione e formazione dei docenti, legiferazione parlamentare, ecc.), qual è allora lo scopo recondito di questa operazione di apparente "liberalizzazione" dell'ora di religione?
In realtà si tratta di una manovra che dovrebbe consentire di procedere al rafforzamento della presenza - già solidissima - della chiesa cattolica all'interno della scuola, mano a mano che questa perde la sua natura di istituzione per darsi quella di servizio pubblico e al tempo stesso muta il suo ruolo di luogo di formazione di coscienze libere e laiche per quello di luogo di formazione di identità basate su appartenenze religiose, etniche, territoriali, e così via.
In una scuola pubblica che và in questa direzione, la presenza ed il ruolo di presidio della religione cattolica diventa dunque elemento decisivo di processi identitari che facciano piazza pulita della laicità e delle coscienze critiche.
I 136 milioni di euro per le scuole paritarie non bastano più. Occorre rafforzare presenza e ruolo della religione cattolica nella scuola pubblica, e questo per il ministro in carica e per le autorità vaticane significa due cose: procedere nella ridefinizione dello status degli insegnanti di religione cattolica da un lato e dello status dell'insegnamento stesso della religione cattolica (IRC), dall'altro.
Per poter garantire agli insegnanti di religione le stesse condizioni degli altri insegnanti (in buona sostanza il diritto di voto negli scrutini) si apre così la facile strada di una modifica dell'intesa Stato-Vaticano del 23 giugno 1990, laddove si recita che il voto dell'insegnante di religione cattolica "se determinante diviene un giudizio motivato", insieme ad una modifica dell'art.309 del Testo Unico n°297/1994 che consente allo Stato di poter liberamente decidere in fatto di valutazione del rendimento in religione cattolica.
Percorso affatto impossibile, che porterebbe l'IRC all'equiparazione con le altre discipline, pur tra i mari burrascosi di una verifica di legittimità sul piano costituzionale ed a costo di inibire i diritti degli alunni che non si avvalgono dell'IRC, i quali verrebbero a trovarsi in una condizione di disparità. Va da sè che già oggi le attività alternative per coloro i quali non si avvalgono dell'IRC, non ricevono finanziamenti per retribuire i docenti eventualmente necessari.
L'altro passo necessario è quello della equiparazione dell'IRC alle altre discipline sul piano dello status culturale e scientifico. Può sembrare un paradosso, dato che - a differenza della altre discipline il cui status ed insegnamento sono liberi - l'IRC è oggi emanazione delle autorità religiose e da queste posti sotto controllo sia i contenuti didattici che la formazione e conformità dei docenti; eppure in una lettera alle conferenze episcopali del 5 maggio scorso, la Congregazione per l'educazione cattolica, ha rivendicato il carattere scientifico, persino laico, dell'insegnamento della religione cattolica e - al tempo stesso - si è premurata di avvertire che spetta alla conferenza episcopale emanare norme generali su questa materia ed ai vescovi quello di vigilare.
Non bisogna cadere quindi nella trappola offerta ai media dell'ora di islam, quanto prepararsi per affrontare quello che sarà probabilmente l'affondo decisivo dell'integralismo cattolico verso la scuola pubblica, pronto a demolire gli ultimi baluardi di laicità e di libertà di insegnamento che si frappongono al ritorno dell'autorità dei chierici in campo di scienza e di cultura. L'ora di islam, se mai si farà, sarà ben poco prezzo da pagare.
Tutte le forze laiche, libertarie, anticlericali, tutti gli oppositori di ogni integralismo e di ogni steccato religioso, tutti gli irriducibili ad ogni divisione della società fra appartenenze religiose, etniche, di sangue e di terra, sono chiamati perciò ancora una volta ad una nuova mobilitazione per la difesa della laicità.
Una mobilitazione di carattere culturale, politico e sociale che attraversi le scuole, gli operatori della formazione, l'associazionismo di base e quello sindacale per una campagna di salvaguardia delle basi costitutive della scuola di tutti e di tutte; per un allargamento delle iniziative e delle proposte che favoriscano una società ed una scuola interculturali senza autorità religiose e senza dogmi, fondate sulla solidarietà reciproca e sul riconoscimento dell'essere donne e uomini liberi nelle scelte e nella lotta.
FdCA
Ottobre 2009
Venghino siori e siore!
OFFRIAMO NAVI E MILLE ALTRI MODI PER SBARAZZARVI DEI RIFIUTI PERICOLOSI
SPENDENDO IL MENO POSSIBILE! VENGHINO SIORI E SIORE!
Il problema dei rifiuti nucleari non è un problema da poco, così come quello degli altri rifiuti industriali pericolosi, perché smaltirli con tutte le misure di sicurezza del caso, ha costi molto elevati.
Come fare allora per abbattere questi fastidiosi costi?
Di solito gli Stati e/o gli imprenditori agiscono in due diversi modi: o, se ci riescono, scaricano sulla fiscalità generale, e quindi principalmente sui lavoratori, i costi relativi alla gestione in sicurezza di tali rifiuti, oppure ricorrono ad altri stratagemmi, affidando alle mafie nazionali ed internazionali la gestione del trasporto e dello scarico di questi veleni.
Nel primo caso possiamo citare come esempio l’oneroso lascito del breve inverno nucleare italiano, che oltre alla gestione dei depositi di scorie nei siti provvisori, si appesantisce sempre di più dei costi dello smantellamento dei vecchi impianti, alcuni dei quali devono ancora iniziare.
Un lascito che continuiamo a pagare nella bolletta elettrica e che dal 1989 ad oggi è pesato sulle tasche della fiscalità generale svariati miliardi di euro e chissà quanti ancora ne dovremo sborsare.
Quando invece il capitale, pubblico o privato, ricorre allo stratagemma dell’affidamento dei rifiuti in mani “fidate” ha diverse opzioni.
Una è quella dell’auto-affondamento delle cosiddette navi dei veleni.
Come funziona il meccanismo?
Si compra per pochi spiccioli una carretta arrugginita, la si riempie delle peggiori schifezze, la si manda in mare, dove, lontana da occhi indiscreti, la si fa colare a picco con tutto il suo carico di veleni (e magari si riscuotono pure i soldi dell’assicurazione!).
Nel Mediterraneo, ad esempio, traffici internazionali di rifiuti radioattivi e pericolosi in genere, con relativi auto-affondamenti in mare, hanno avuto inizio almeno a partire dal 1987 ed alcuni sono venuti alla luce solo perché falliti nell’intento, rendendosi palesi all’opinione pubblica, come per il famoso episodio legato allo spiaggiamento della motonave Jolly Rosso, avvenuto nel dicembre del 1990, presso Amantea, in provincia di Cosenza.
La nave Rosso conteneva tra gli altri anche rifiuti radioattivi e dopo lo spiaggiamento accidentale, perché la nave doveva essere affondata al largo, questi rifiuti sono spariti, probabilmente prelevati e interrati in territorio calabrese.
Secondo il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, nei mari che bagnano la Calabria sarebbero almeno una trentina le navi auto-affondate.
Ne ricordiamo qualcuna: la “Cunsky”, che secondo alcuni sarebbe proprio quella ultimamente ritrovata al largo di Cetraro e affondata presumibilmente nel 1992, le sue “gemelle”: la “Yvonne A” e la “Voriais Sporadis” (1992). E, ancora, la “Nikos I” (1985), la Mikigan (1986), la “Rigel” (1987), la “Four Star I” (1988), la “Marco Polo” (1993), la “Koraline” (1995). Nove navi in acque calabresi/siciliane alle quali vanno aggiunte la motonave “Anni” affondata in Adriatico nell’agosto 89 mentre si dirigeva a Ravenna e la “Alessandro” affondata al largo di Molfetta il 1° febbraio 92.
Ma altre navi auto-affondate starebbero anche al di fuori del Mediterraneo, lungo le coste Somale, della Serra Leone e della Guinea e molti altri relitti sospetti sono presenti anche in prossimità delle coste adiratiche della ex Jugoslavia, relitti su cui non si è mai indagato.
Quando poi la quantità dei rifiuti non giustifica operazioni di trasporto all’estero o di auto-affondamento di navi, la questione viene risolta spargendo questi veleni in giro per l’Italia, specialmente al sud, ma non solo, sfruttando ex cave, discariche abusive già esistenti, creandone delle nuove o addirittura confondendoli con i rifiuti indifferenziati delle discariche autorizzate, come è ormai certo che sia avvenuto in Campania.
Ma ritorniamo ai traffici marini di scorie radioattive, perché la tecnica dell’auto-affondamento non è l’unica utilizzata per sbarazzarsi dei rifiuti nucleari. Ce n’è un’altra che coinvolge, in un intrigata interconnessione di traffici di armi e di scorie, servizi segreti degli Stati europei, organizzazioni criminali e gruppi locali di potere africani.
Il meccanismo è quello di far partire navi dai porti italiani, spesso con la copertura di effettuare trasporto di aiuti umanitari. In realtà queste navi, con la complicità di apparati statali civili e militari, trasportano scorie nucleari e armi leggere e mediamente pesanti. Trasportano questo loro carico doppiamente mortale in alcuni paesi africani (specialmente Somalia), dove affidano le armi a gruppi locali di potere che in cambio penseranno a disfarsi del carico radioattivo. I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni '90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente incredibili come ad esempio quelle del "doppio registro", in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori.
Allo stesso tempo le autorità marittime di controllo hanno, per ben precise e funzionali direttive politiche, sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali. E così le Capitanerie di porto, guarda caso, sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell'immigrazione che quello dei traffici illeciti di scorie industriali e armi.
A tutti questi intrecci perversi tra Stati, multinazionali, servizi segreti, apparati militari, traffici di scorie radioattive, è legato l’assassinio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994 in Somalia. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin pagarono con la loro vita per un’inchiesta che stavano conducendo tra Somalia e Italia, volta a far luce sui misteri che avvolgevano molti di questi traffici mortali.
La gestione dei rifiuti pericolosi rappresenta quindi per alcuni imprenditori e faccendieri anche una possibilità di ingenti guadagni. Come ad esempio per la ODM (Oceanic Disposal Management Inc.), una società che imperversava negli anni ‘90, peraltro direttamente implicata nel caso della motonave Rosso.
Questa proponeva di mettere in opera su scala mondiale operazioni di seppellimento nei fondali marini di scorie radioattive attraverso la penetrazione di siluri lunghi 16 metri del peso di circa 200 tonnellate ciascuno, fatti scivolare verso i fondali argillosi da navi opportunamente attrezzate.
Ci sarebbe da ridere a crepapelle se non fosse che questa società di benefattori ha avuto credenziali in tutta Europa, da come si evince da un dossier di Lega Ambiente, con basi logistiche in Italia, Austria e Svizzera.
E non avesse avuto rapporti con i peggiori faccendieri europei e specialmente italiani, che facevano affari d’oro con il traffico dei rifiuti e specialmente di quelli pericolosi. In questo ambito la ODM avrebbe trattato illegalmente nel 1997 qualcosa come tremila tonnellate di rifiuti al giorno per un valore complessivo equivalente di 4.8 milioni di dollari d’allora, esportando tra l’altro illecitamente i rifiuti in paesi come Romania, Libano e Venezuela e ricavandone proventi illeciti che sarebbero stati esportati e ripuliti da compagnie finanziarie italiane in paesi quali Panama, le Isole Vergini, il Liechtenstein e l’Irlanda (e magari parte di questi proventi è bella pronta a rientrare attraverso l’operazione dello scudo fiscale).
Tra il 1987 e il 1996, come riportato dal dossier “le navi dei veleni” di Lega Ambiente e del WWF, la rete formata da queste aziende avrebbe avuto rapporti d’affari con grandi aziende pubbliche e private italiane e con multinazionali, quali tra le altre: Castalia SpA, Termomeccanica SpA, Waste Management Tecnologies (WMX), Compagnie Generale des Eaux.
C’è anche un’altra brillante scappatoia per eliminare dei rifiuti radioattivi che è adottata nel connubio tra capitale industriale e criminalità organizzata. Idea brillante perché si tratta di operazioni che prendono due piccioni con una sola fava. Inoltre è una forma originale di riciclo delle cosiddette materie seconde. Se non altro da apprezzare in epoca di scarsità delle materie prime! Ma a parte le battute, si tratta del traffico, tutto europeo, di ferraglia contaminata proveniente dallo smantellamento di obsolete infrastrutture nucleari, riciclata dall’industria siderurgica europea per produrre manufatti metallici.
Questa metodologia soddisfa contemporaneamente il bisogno di disfarsi rapidamente e senza fare troppo rumore delle scorie radioattive e diviene un business apprezzabile per imprenditori e trafficanti.
Non so se qualcuno ricorda un evento accaduto nel maggio del 1998, in cui dopo alcune misure risultò un eccesso di presenza di Cesium-137 (tempo di dimezzamento dai 10 agli 8 anni, emettitore Beta), in Francia del sud, in Svizzera, in Italia ed in Germania del sud, con valori anche 1000 volte più alti dei limiti consentiti dalla normativa europea.
All’inizio non si sapeva da dove provenisse questa nuvola radioattiva ma poi si scopri che arrivava dalla Spagna del sud , e precisamente dalla fonderia Acerinox nella regione di Cadice. Il materiale ferroso riciclato nella fonderia proveniva dai Paesi Bassi, dagli Stati Uniti, dal Canada e dalla Germania.
Per ammissione della stessa AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica), solo nel triennio 1996-1998 e solo nei Paesi Bassi, sono state scoperte circa 200 spedizioni contaminate destinate alle acciaierie di questa parte dell’Europa.
E di quante altre di queste operazioni di “smaltimento” siamo a conoscenza?
Quale è l’entità dell’inquinamento ad oggi provocato da queste pratiche criminali, del tutto interne alla logica capitalista della massimizzazione dei profitti e della diminuzione dei costi?
Ad oggi sappiamo che questi imprenditori pubblici e privati senza scrupoli stanno disseminando il nostro pianeta con ogni sorta di veleno, con la complicità e l’appoggio, spesso attivo, dei cosiddetti organi di controllo statali, lasciandoci una drammatica eredità.
E continueranno indisturbati, avvelenando e allo stesso tempo alimentando l’industria del disinquinamento nel ricco occidente, con cui il Capitale ha trovato nuova linfa di profitto a spese della collettività, e portando morte e solo morte alla restante umanità del sud del mondo.
Ma se ci aspettiamo che la soluzione sia nel delegare allo Stato, per sua natura centralizzato e autoritàrio, colluso col capitale e le ecomafie, la difesa dei nostri territori e delle nostre vite, siamo degli illusi. Lo Stato non può essere delegato a risolvere aspetti legati all'energia e all'ambiente perché in questi ambiti è capace solo di fare scempi o di proteggere quelli perpetrati dalle industrie private. Di esempi la storia ormai ce ne consegna a decine.
Ancora una volta queste vicende dimostrano invece quanto sia necessario e sempre più urgente che i lavoratori e le lavoratrici prendano in mano le loro vite e decidano assieme e pariteticamente della gestione delle risorse del loro territorio, gettando nell'immondezzaio della storia e senza possibilità di riciclo, l'autorità dei poteri statale ed economico e tutte le loro mafie.
FdCA - Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente
SPENDENDO IL MENO POSSIBILE! VENGHINO SIORI E SIORE!
Il problema dei rifiuti nucleari non è un problema da poco, così come quello degli altri rifiuti industriali pericolosi, perché smaltirli con tutte le misure di sicurezza del caso, ha costi molto elevati.
Come fare allora per abbattere questi fastidiosi costi?
Di solito gli Stati e/o gli imprenditori agiscono in due diversi modi: o, se ci riescono, scaricano sulla fiscalità generale, e quindi principalmente sui lavoratori, i costi relativi alla gestione in sicurezza di tali rifiuti, oppure ricorrono ad altri stratagemmi, affidando alle mafie nazionali ed internazionali la gestione del trasporto e dello scarico di questi veleni.
Nel primo caso possiamo citare come esempio l’oneroso lascito del breve inverno nucleare italiano, che oltre alla gestione dei depositi di scorie nei siti provvisori, si appesantisce sempre di più dei costi dello smantellamento dei vecchi impianti, alcuni dei quali devono ancora iniziare.
Un lascito che continuiamo a pagare nella bolletta elettrica e che dal 1989 ad oggi è pesato sulle tasche della fiscalità generale svariati miliardi di euro e chissà quanti ancora ne dovremo sborsare.
Quando invece il capitale, pubblico o privato, ricorre allo stratagemma dell’affidamento dei rifiuti in mani “fidate” ha diverse opzioni.
Una è quella dell’auto-affondamento delle cosiddette navi dei veleni.
Come funziona il meccanismo?
Si compra per pochi spiccioli una carretta arrugginita, la si riempie delle peggiori schifezze, la si manda in mare, dove, lontana da occhi indiscreti, la si fa colare a picco con tutto il suo carico di veleni (e magari si riscuotono pure i soldi dell’assicurazione!).
Nel Mediterraneo, ad esempio, traffici internazionali di rifiuti radioattivi e pericolosi in genere, con relativi auto-affondamenti in mare, hanno avuto inizio almeno a partire dal 1987 ed alcuni sono venuti alla luce solo perché falliti nell’intento, rendendosi palesi all’opinione pubblica, come per il famoso episodio legato allo spiaggiamento della motonave Jolly Rosso, avvenuto nel dicembre del 1990, presso Amantea, in provincia di Cosenza.
La nave Rosso conteneva tra gli altri anche rifiuti radioattivi e dopo lo spiaggiamento accidentale, perché la nave doveva essere affondata al largo, questi rifiuti sono spariti, probabilmente prelevati e interrati in territorio calabrese.
Secondo il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, nei mari che bagnano la Calabria sarebbero almeno una trentina le navi auto-affondate.
Ne ricordiamo qualcuna: la “Cunsky”, che secondo alcuni sarebbe proprio quella ultimamente ritrovata al largo di Cetraro e affondata presumibilmente nel 1992, le sue “gemelle”: la “Yvonne A” e la “Voriais Sporadis” (1992). E, ancora, la “Nikos I” (1985), la Mikigan (1986), la “Rigel” (1987), la “Four Star I” (1988), la “Marco Polo” (1993), la “Koraline” (1995). Nove navi in acque calabresi/siciliane alle quali vanno aggiunte la motonave “Anni” affondata in Adriatico nell’agosto 89 mentre si dirigeva a Ravenna e la “Alessandro” affondata al largo di Molfetta il 1° febbraio 92.
Ma altre navi auto-affondate starebbero anche al di fuori del Mediterraneo, lungo le coste Somale, della Serra Leone e della Guinea e molti altri relitti sospetti sono presenti anche in prossimità delle coste adiratiche della ex Jugoslavia, relitti su cui non si è mai indagato.
Quando poi la quantità dei rifiuti non giustifica operazioni di trasporto all’estero o di auto-affondamento di navi, la questione viene risolta spargendo questi veleni in giro per l’Italia, specialmente al sud, ma non solo, sfruttando ex cave, discariche abusive già esistenti, creandone delle nuove o addirittura confondendoli con i rifiuti indifferenziati delle discariche autorizzate, come è ormai certo che sia avvenuto in Campania.
Ma ritorniamo ai traffici marini di scorie radioattive, perché la tecnica dell’auto-affondamento non è l’unica utilizzata per sbarazzarsi dei rifiuti nucleari. Ce n’è un’altra che coinvolge, in un intrigata interconnessione di traffici di armi e di scorie, servizi segreti degli Stati europei, organizzazioni criminali e gruppi locali di potere africani.
Il meccanismo è quello di far partire navi dai porti italiani, spesso con la copertura di effettuare trasporto di aiuti umanitari. In realtà queste navi, con la complicità di apparati statali civili e militari, trasportano scorie nucleari e armi leggere e mediamente pesanti. Trasportano questo loro carico doppiamente mortale in alcuni paesi africani (specialmente Somalia), dove affidano le armi a gruppi locali di potere che in cambio penseranno a disfarsi del carico radioattivo. I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni '90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente incredibili come ad esempio quelle del "doppio registro", in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori.
Allo stesso tempo le autorità marittime di controllo hanno, per ben precise e funzionali direttive politiche, sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali. E così le Capitanerie di porto, guarda caso, sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell'immigrazione che quello dei traffici illeciti di scorie industriali e armi.
A tutti questi intrecci perversi tra Stati, multinazionali, servizi segreti, apparati militari, traffici di scorie radioattive, è legato l’assassinio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994 in Somalia. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin pagarono con la loro vita per un’inchiesta che stavano conducendo tra Somalia e Italia, volta a far luce sui misteri che avvolgevano molti di questi traffici mortali.
La gestione dei rifiuti pericolosi rappresenta quindi per alcuni imprenditori e faccendieri anche una possibilità di ingenti guadagni. Come ad esempio per la ODM (Oceanic Disposal Management Inc.), una società che imperversava negli anni ‘90, peraltro direttamente implicata nel caso della motonave Rosso.
Questa proponeva di mettere in opera su scala mondiale operazioni di seppellimento nei fondali marini di scorie radioattive attraverso la penetrazione di siluri lunghi 16 metri del peso di circa 200 tonnellate ciascuno, fatti scivolare verso i fondali argillosi da navi opportunamente attrezzate.
Ci sarebbe da ridere a crepapelle se non fosse che questa società di benefattori ha avuto credenziali in tutta Europa, da come si evince da un dossier di Lega Ambiente, con basi logistiche in Italia, Austria e Svizzera.
E non avesse avuto rapporti con i peggiori faccendieri europei e specialmente italiani, che facevano affari d’oro con il traffico dei rifiuti e specialmente di quelli pericolosi. In questo ambito la ODM avrebbe trattato illegalmente nel 1997 qualcosa come tremila tonnellate di rifiuti al giorno per un valore complessivo equivalente di 4.8 milioni di dollari d’allora, esportando tra l’altro illecitamente i rifiuti in paesi come Romania, Libano e Venezuela e ricavandone proventi illeciti che sarebbero stati esportati e ripuliti da compagnie finanziarie italiane in paesi quali Panama, le Isole Vergini, il Liechtenstein e l’Irlanda (e magari parte di questi proventi è bella pronta a rientrare attraverso l’operazione dello scudo fiscale).
Tra il 1987 e il 1996, come riportato dal dossier “le navi dei veleni” di Lega Ambiente e del WWF, la rete formata da queste aziende avrebbe avuto rapporti d’affari con grandi aziende pubbliche e private italiane e con multinazionali, quali tra le altre: Castalia SpA, Termomeccanica SpA, Waste Management Tecnologies (WMX), Compagnie Generale des Eaux.
C’è anche un’altra brillante scappatoia per eliminare dei rifiuti radioattivi che è adottata nel connubio tra capitale industriale e criminalità organizzata. Idea brillante perché si tratta di operazioni che prendono due piccioni con una sola fava. Inoltre è una forma originale di riciclo delle cosiddette materie seconde. Se non altro da apprezzare in epoca di scarsità delle materie prime! Ma a parte le battute, si tratta del traffico, tutto europeo, di ferraglia contaminata proveniente dallo smantellamento di obsolete infrastrutture nucleari, riciclata dall’industria siderurgica europea per produrre manufatti metallici.
Questa metodologia soddisfa contemporaneamente il bisogno di disfarsi rapidamente e senza fare troppo rumore delle scorie radioattive e diviene un business apprezzabile per imprenditori e trafficanti.
Non so se qualcuno ricorda un evento accaduto nel maggio del 1998, in cui dopo alcune misure risultò un eccesso di presenza di Cesium-137 (tempo di dimezzamento dai 10 agli 8 anni, emettitore Beta), in Francia del sud, in Svizzera, in Italia ed in Germania del sud, con valori anche 1000 volte più alti dei limiti consentiti dalla normativa europea.
All’inizio non si sapeva da dove provenisse questa nuvola radioattiva ma poi si scopri che arrivava dalla Spagna del sud , e precisamente dalla fonderia Acerinox nella regione di Cadice. Il materiale ferroso riciclato nella fonderia proveniva dai Paesi Bassi, dagli Stati Uniti, dal Canada e dalla Germania.
Per ammissione della stessa AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica), solo nel triennio 1996-1998 e solo nei Paesi Bassi, sono state scoperte circa 200 spedizioni contaminate destinate alle acciaierie di questa parte dell’Europa.
E di quante altre di queste operazioni di “smaltimento” siamo a conoscenza?
Quale è l’entità dell’inquinamento ad oggi provocato da queste pratiche criminali, del tutto interne alla logica capitalista della massimizzazione dei profitti e della diminuzione dei costi?
Ad oggi sappiamo che questi imprenditori pubblici e privati senza scrupoli stanno disseminando il nostro pianeta con ogni sorta di veleno, con la complicità e l’appoggio, spesso attivo, dei cosiddetti organi di controllo statali, lasciandoci una drammatica eredità.
E continueranno indisturbati, avvelenando e allo stesso tempo alimentando l’industria del disinquinamento nel ricco occidente, con cui il Capitale ha trovato nuova linfa di profitto a spese della collettività, e portando morte e solo morte alla restante umanità del sud del mondo.
Ma se ci aspettiamo che la soluzione sia nel delegare allo Stato, per sua natura centralizzato e autoritàrio, colluso col capitale e le ecomafie, la difesa dei nostri territori e delle nostre vite, siamo degli illusi. Lo Stato non può essere delegato a risolvere aspetti legati all'energia e all'ambiente perché in questi ambiti è capace solo di fare scempi o di proteggere quelli perpetrati dalle industrie private. Di esempi la storia ormai ce ne consegna a decine.
Ancora una volta queste vicende dimostrano invece quanto sia necessario e sempre più urgente che i lavoratori e le lavoratrici prendano in mano le loro vite e decidano assieme e pariteticamente della gestione delle risorse del loro territorio, gettando nell'immondezzaio della storia e senza possibilità di riciclo, l'autorità dei poteri statale ed economico e tutte le loro mafie.
FdCA - Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente
Omofobia - un punto di vista femminile.
Il Parlamento italiano ed il (mal)governo del Berluskaiser da avanspettacolo, ancora una volta si sono attirati le critiche dell’ONU per aver fatto retrocedere il paese in tema di diritti civili e limitazioni delle libertà personali. Ieri, la bocciatura della legge sull’omofobia, prima le leggi razziste e violente sui respingimenti dei migranti, giusto per citare alcune delle misure liberticide di questo parlamento eletto da masse di italiani lobotomizzate dalla propaganda ossessiva delle reti televisive di proprietà o controllate dall’aspirante dittatorello. Questa bocciatura, sicuramente, vuole essere un gentile regalo all’altro grande potere italiano: Santa Romana Chiesa. Quale miglior modo per mettere a tacere le critiche tiepide rivolte al Berlusca , dopo i noti scandali di puttane e cocaina. Con questa bocciatura è come se avessero autorizzato tutti i decerebrati rozzi e violenti a commettere azioni ripugnanti contro gli omosessuali. La violenza contro i diversi, spesso, è mossa più dalla paura che dal reale disprezzo verso coloro cui vengono indirizzate pulsioni distruttive. A maggior ragione contro gli omosessuali. “Io ti aggredisco perché voglio dimostrare a me stesso e ai componenti del mio branco che non sono come te, che sono un vero maschio “. Noi donne, sappiamo bene cos’è la discriminazione sessuale e nei nostri corpi portiamo i segni della violenza brutale dei cosiddetti maschi. Ecco perché ci è facile provare empatia con le loro sofferenze. Donne ed omosessuali hanno per secoli e secoli avuto un destino comune. Del resto, quando si vuole offendere un maschio, non gli si dice, forse, che si comporta come una femminuccia? Entrambi siamo stati le vittime eccellenti della cultura maschilista, a cui le religioni hanno dato un contributo fondamentale. La religione giudaicocristiana, nel suo totale disprezzo (paura) delle donne è arrivata a crearsi un dio uomo, a sua immagine e somiglianza. Si è inventata la verginità della madre di Gesù, e per molti secoli ha persino negato che le donne potessero avere un’anima. Ancora oggi nega alle donne la piena parità con gli uomini. La sua posizione nei confronti dell’omosessualità è un distillato purissimo di ipocrisia. Sono ancora vivissimi i ricordi degli scandali che l’hanno travolta negli USA, in Irlanda, in Italia etc. etc etc. Le violenze sessuali dei preti sui bambini, sugli adolescenti sono, quasi, fatti quotidiani. Eppure il suo capo e i suoi generali continuano a tuonare contro una parte dell’umanità da loro giudicata contro natura. Come se loro possedessero i segreti della Natura e fossero, quindi autorizzati a giudicare e distinguere ciò che è naturale da ciò che non lo è. E se anche fosse? La chiesa ha un’enorme colpa nei confronti delle donne e dei gay. Essa ha teorizzato ed imposto la cultura sessuofobica ancora dominante. Il controllo delle coscienze passava attraverso il controllo dei corpi. Ha fatto uno scempio della sana sessualità, rendendola sporca e caricandola di significati che vanno oltre il naturale bisogno d’amore degli esseri umani. La sua voglia di proibizione ha trasformato la sessualità in una qualsiasi attività produttiva. Il precetto: ”Ti puoi accoppiare solo se devi procreare”, continua ad essere legge (vedi la follia del proibire l’uso dei profilattici anche nei paesi devastati dall’AIDS). La sua avversione contro gli omosessuali si spiega anche con l’impossibilità per quest’ultimi di procreare. Additandoli alla pubblica opinione come peccatori li espone come facili prede alla violenza di ragazzini o adulti frustrati ed insicuri che come branchi di belve affamate vanno a caccia per soddisfare i loro istinti brutali. Farebbe bene la chiesa cattolica a riflettere sulle sue gravissime colpe e sulle sue complicità indirette nei recenti fatti di cronaca. Non può chiamarsi fuori. Questi sono i frutti avvelenati che si raccolgono quando si semina l’odio per un’altra parte dell’umanità. Solo che a farne le spese sono coppie di uomini o donne colpevoli solo di amare persone del loro stesso sesso. Pensavamo che certi fatti non dovessero più accadere, perlomeno nelle grandi città. Ed invece è proprio nelle grandi città che si verifica con sempre maggiore frequenza l’imbarbarimento dei rapporti umani. Stupri, violenze contro i migranti, contro i barboni, contro i gay. Invece di rivolgere la loro rabbia contro il potere e contro le classi dominanti, i veri colpevoli del loro disagio e delle loro vite squallide e insensate si scagliano contro i più deboli, non riuscendo a decifrare in maniera positiva l’origine del loro malessere. Essi stessi vittime della cultura dell’odio che giova solo a chi tiene i fili del loro destino, diventando a loro volta carnefici. L’organizzazione piramidale della violenza per sopravvivere ha bisogno di una larga base su cui reggersi. La società classista e capitalista finchè durerà creerà masse di sfruttati e di reietti su cui basarsi. Senza la base il vertice crollerebbe miseramente su sé stesso. Tutti i teorici dell’odio possono ritenersi soddisfatti per aver creato emerite teste di cazzo che per noia si divertono a dar fuoco ai barboni. E hanno pure il coraggio di parlare di perdita dei valori. Noi dobbiamo solo impegnarci con tutte le nostre forze per diffondere le nostre idee di libertà, amore e giustizia sociale per tutti. Solo quando tutti gli esseri umani si uniranno per abbattere questo sistema ingiusto che crea violenze, dolori e disuguaglianze si potrà realmente assistere alla nascita di un mondo pacificato in cui ognuno sarà libero di esprimere sé stesso, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dal colore della pelle o da qualsiasi altra differenza che caratterizza ciascuno di noi. Lavoriamo, compagni. La strada è ancora molto lunga ed è tutta in salita. Buon lavoro a tutti!
Una individualità anarchica di genere
Una individualità anarchica di genere