Venghino siori e siore!

OFFRIAMO NAVI E MILLE ALTRI MODI PER SBARAZZARVI DEI RIFIUTI PERICOLOSI
SPENDENDO IL MENO POSSIBILE! VENGHINO SIORI E SIORE!

Il problema dei rifiuti nucleari non è un problema da poco, così come quello degli altri rifiuti industriali pericolosi, perché smaltirli con tutte le misure di sicurezza del caso, ha costi molto elevati.
Come fare allora per abbattere questi fastidiosi costi?
Di solito gli Stati e/o gli imprenditori agiscono in due diversi modi: o, se ci riescono, scaricano sulla fiscalità generale, e quindi principalmente sui lavoratori, i costi relativi alla gestione in sicurezza di tali rifiuti, oppure ricorrono ad altri stratagemmi, affidando alle mafie nazionali ed internazionali la gestione del trasporto e dello scarico di questi veleni.
Nel primo caso possiamo citare come esempio l’oneroso lascito del breve inverno nucleare italiano, che oltre alla gestione dei depositi di scorie nei siti provvisori, si appesantisce sempre di più dei costi dello smantellamento dei vecchi impianti, alcuni dei quali devono ancora iniziare.
Un lascito che continuiamo a pagare nella bolletta elettrica e che dal 1989 ad oggi è pesato sulle tasche della fiscalità generale svariati miliardi di euro e chissà quanti ancora ne dovremo sborsare.
Quando invece il capitale, pubblico o privato, ricorre allo stratagemma dell’affidamento dei rifiuti in mani “fidate” ha diverse opzioni.
Una è quella dell’auto-affondamento delle cosiddette navi dei veleni.
Come funziona il meccanismo?
Si compra per pochi spiccioli una carretta arrugginita, la si riempie delle peggiori schifezze, la si manda in mare, dove, lontana da occhi indiscreti, la si fa colare a picco con tutto il suo carico di veleni (e magari si riscuotono pure i soldi dell’assicurazione!).
Nel Mediterraneo, ad esempio, traffici internazionali di rifiuti radioattivi e pericolosi in genere, con relativi auto-affondamenti in mare, hanno avuto inizio almeno a partire dal 1987 ed alcuni sono venuti alla luce solo perché falliti nell’intento, rendendosi palesi all’opinione pubblica, come per il famoso episodio legato allo spiaggiamento della motonave Jolly Rosso, avvenuto nel dicembre del 1990, presso Amantea, in provincia di Cosenza.
La nave Rosso conteneva tra gli altri anche rifiuti radioattivi e dopo lo spiaggiamento accidentale, perché la nave doveva essere affondata al largo, questi rifiuti sono spariti, probabilmente prelevati e interrati in territorio calabrese.
Secondo il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti, nei mari che bagnano la Calabria sarebbero almeno una trentina le navi auto-affondate.
Ne ricordiamo qualcuna: la “Cunsky”, che secondo alcuni sarebbe proprio quella ultimamente ritrovata al largo di Cetraro e affondata presumibilmente nel 1992, le sue “gemelle”: la “Yvonne A” e la “Voriais Sporadis” (1992). E, ancora, la “Nikos I” (1985), la Mikigan (1986), la “Rigel” (1987), la “Four Star I” (1988), la “Marco Polo” (1993), la “Koraline” (1995). Nove navi in acque calabresi/siciliane alle quali vanno aggiunte la motonave “Anni” affondata in Adriatico nell’agosto 89 mentre si dirigeva a Ravenna e la “Alessandro” affondata al largo di Molfetta il 1° febbraio 92.
Ma altre navi auto-affondate starebbero anche al di fuori del Mediterraneo, lungo le coste Somale, della Serra Leone e della Guinea e molti altri relitti sospetti sono presenti anche in prossimità delle coste adiratiche della ex Jugoslavia, relitti su cui non si è mai indagato.
Quando poi la quantità dei rifiuti non giustifica operazioni di trasporto all’estero o di auto-affondamento di navi, la questione viene risolta spargendo questi veleni in giro per l’Italia, specialmente al sud, ma non solo, sfruttando ex cave, discariche abusive già esistenti, creandone delle nuove o addirittura confondendoli con i rifiuti indifferenziati delle discariche autorizzate, come è ormai certo che sia avvenuto in Campania.
Ma ritorniamo ai traffici marini di scorie radioattive, perché la tecnica dell’auto-affondamento non è l’unica utilizzata per sbarazzarsi dei rifiuti nucleari. Ce n’è un’altra che coinvolge, in un intrigata interconnessione di traffici di armi e di scorie, servizi segreti degli Stati europei, organizzazioni criminali e gruppi locali di potere africani.
Il meccanismo è quello di far partire navi dai porti italiani, spesso con la copertura di effettuare trasporto di aiuti umanitari. In realtà queste navi, con la complicità di apparati statali civili e militari, trasportano scorie nucleari e armi leggere e mediamente pesanti. Trasportano questo loro carico doppiamente mortale in alcuni paesi africani (specialmente Somalia), dove affidano le armi a gruppi locali di potere che in cambio penseranno a disfarsi del carico radioattivo. I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni '90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente incredibili come ad esempio quelle del "doppio registro", in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori.
Allo stesso tempo le autorità marittime di controllo hanno, per ben precise e funzionali direttive politiche, sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali. E così le Capitanerie di porto, guarda caso, sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell'immigrazione che quello dei traffici illeciti di scorie industriali e armi.
A tutti questi intrecci perversi tra Stati, multinazionali, servizi segreti, apparati militari, traffici di scorie radioattive, è legato l’assassinio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994 in Somalia. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin pagarono con la loro vita per un’inchiesta che stavano conducendo tra Somalia e Italia, volta a far luce sui misteri che avvolgevano molti di questi traffici mortali.
La gestione dei rifiuti pericolosi rappresenta quindi per alcuni imprenditori e faccendieri anche una possibilità di ingenti guadagni. Come ad esempio per la ODM (Oceanic Disposal Management Inc.), una società che imperversava negli anni ‘90, peraltro direttamente implicata nel caso della motonave Rosso.
Questa proponeva di mettere in opera su scala mondiale operazioni di seppellimento nei fondali marini di scorie radioattive attraverso la penetrazione di siluri lunghi 16 metri del peso di circa 200 tonnellate ciascuno, fatti scivolare verso i fondali argillosi da navi opportunamente attrezzate.
Ci sarebbe da ridere a crepapelle se non fosse che questa società di benefattori ha avuto credenziali in tutta Europa, da come si evince da un dossier di Lega Ambiente, con basi logistiche in Italia, Austria e Svizzera.
E non avesse avuto rapporti con i peggiori faccendieri europei e specialmente italiani, che facevano affari d’oro con il traffico dei rifiuti e specialmente di quelli pericolosi. In questo ambito la ODM avrebbe trattato illegalmente nel 1997 qualcosa come tremila tonnellate di rifiuti al giorno per un valore complessivo equivalente di 4.8 milioni di dollari d’allora, esportando tra l’altro illecitamente i rifiuti in paesi come Romania, Libano e Venezuela e ricavandone proventi illeciti che sarebbero stati esportati e ripuliti da compagnie finanziarie italiane in paesi quali Panama, le Isole Vergini, il Liechtenstein e l’Irlanda (e magari parte di questi proventi è bella pronta a rientrare attraverso l’operazione dello scudo fiscale).
Tra il 1987 e il 1996, come riportato dal dossier “le navi dei veleni” di Lega Ambiente e del WWF, la rete formata da queste aziende avrebbe avuto rapporti d’affari con grandi aziende pubbliche e private italiane e con multinazionali, quali tra le altre: Castalia SpA, Termomeccanica SpA, Waste Management Tecnologies (WMX), Compagnie Generale des Eaux.
C’è anche un’altra brillante scappatoia per eliminare dei rifiuti radioattivi che è adottata nel connubio tra capitale industriale e criminalità organizzata. Idea brillante perché si tratta di operazioni che prendono due piccioni con una sola fava. Inoltre è una forma originale di riciclo delle cosiddette materie seconde. Se non altro da apprezzare in epoca di scarsità delle materie prime! Ma a parte le battute, si tratta del traffico, tutto europeo, di ferraglia contaminata proveniente dallo smantellamento di obsolete infrastrutture nucleari, riciclata dall’industria siderurgica europea per produrre manufatti metallici.
Questa metodologia soddisfa contemporaneamente il bisogno di disfarsi rapidamente e senza fare troppo rumore delle scorie radioattive e diviene un business apprezzabile per imprenditori e trafficanti.
Non so se qualcuno ricorda un evento accaduto nel maggio del 1998, in cui dopo alcune misure risultò un eccesso di presenza di Cesium-137 (tempo di dimezzamento dai 10 agli 8 anni, emettitore Beta), in Francia del sud, in Svizzera, in Italia ed in Germania del sud, con valori anche 1000 volte più alti dei limiti consentiti dalla normativa europea.
All’inizio non si sapeva da dove provenisse questa nuvola radioattiva ma poi si scopri che arrivava dalla Spagna del sud , e precisamente dalla fonderia Acerinox nella regione di Cadice. Il materiale ferroso riciclato nella fonderia proveniva dai Paesi Bassi, dagli Stati Uniti, dal Canada e dalla Germania.
Per ammissione della stessa AIEA (Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica), solo nel triennio 1996-1998 e solo nei Paesi Bassi, sono state scoperte circa 200 spedizioni contaminate destinate alle acciaierie di questa parte dell’Europa.
E di quante altre di queste operazioni di “smaltimento” siamo a conoscenza?
Quale è l’entità dell’inquinamento ad oggi provocato da queste pratiche criminali, del tutto interne alla logica capitalista della massimizzazione dei profitti e della diminuzione dei costi?
Ad oggi sappiamo che questi imprenditori pubblici e privati senza scrupoli stanno disseminando il nostro pianeta con ogni sorta di veleno, con la complicità e l’appoggio, spesso attivo, dei cosiddetti organi di controllo statali, lasciandoci una drammatica eredità.
E continueranno indisturbati, avvelenando e allo stesso tempo alimentando l’industria del disinquinamento nel ricco occidente, con cui il Capitale ha trovato nuova linfa di profitto a spese della collettività, e portando morte e solo morte alla restante umanità del sud del mondo.
Ma se ci aspettiamo che la soluzione sia nel delegare allo Stato, per sua natura centralizzato e autoritàrio, colluso col capitale e le ecomafie, la difesa dei nostri territori e delle nostre vite, siamo degli illusi. Lo Stato non può essere delegato a risolvere aspetti legati all'energia e all'ambiente perché in questi ambiti è capace solo di fare scempi o di proteggere quelli perpetrati dalle industrie private. Di esempi la storia ormai ce ne consegna a decine.
Ancora una volta queste vicende dimostrano invece quanto sia necessario e sempre più urgente che i lavoratori e le lavoratrici prendano in mano le loro vite e decidano assieme e pariteticamente della gestione delle risorse del loro territorio, gettando nell'immondezzaio della storia e senza possibilità di riciclo, l'autorità dei poteri statale ed economico e tutte le loro mafie.

FdCA - Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente